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Piccola Guida Responsabile del Perù

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LARES – HUACAHUASI: ci perdiamo fra i villaggi andini

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Secondo Giorno del trekking

Il secondo giorno è il più spettacolare. Si affronta un dislivello di oltre 1.400 mt per arrivare ad un passo fra la neve a circa 4.600 mt e poi ridiscendere sino a 4.300 ed accamparsi di nuovo per la notte. In quelle otto ore di cammino può succedere davvero di tutto. Noi siamo stati colpiti in brevissimo tempo da tempeste di sole e di pioggia che, dopo i 3.500, si trasforma inevitabilmente in neve. Prima dell’ora di pranzo si arriva ad un paesello che si chiama Huacahuasi, e ci si accampa solo con la tenda comedor, per il pranzo. Qui, probabilmente, abbiamo vissuto il momento più bello di tutto il viaggio ed io credo che quello che accadde, sia il ricordo più bello che il Perù, fino ad oggi, mi abbia regalato. Dopo 5 minuti dal nostro arrivo, guardatici un pochino attorno, abbiamo scelto di accamparci presso una vecchia chiesetta semidiruta vicino ad un collegio (una scuola elementare). Finito di piantare la tenda, siamo stramazzati al suolo pronti a farci coccolare un pochino da un sole tiepido e ruffiano.

 

…stavamo già cedendo al richiamo di un singolare morfeo andino quando siamo stati raggiunti, e drammaticamente svegliati, da 4/5 fra bambini e bambine che hanno cominciato improvvisamente, ed in maniera assolutamente disinvolta e gioiosa, a scherzare con tutti noi. Noi, con il sonno che ci aggrediva da un lato e i peruvianitos che ci attaccavano dall’altro fianco, ci siamo difesi con il lancio di qualche grappolo di caramelle per disperdere il nemico, e, i più diplomatici, hanno subito cercato di instaurare relazioni pacifiche e distensive spiccicando qualche improbabile frase in spagnolo. Ovviamente loro, troppo piccoli, non l’avevano ancora imparato e parlavano soltanto Qechua. Ci siamo attestati su una posizione di difesa e resistevamo dignitosamente ai vari solletichini e furti di cappelli ma all’improvviso, dopo una mezz’oretta dall’inizio della battaglia con il primo squadrone di chicos, il cataclisma! è suonata la campanella della scuola (si fa per dire visto che li usano il fischietto!) e tutti i ninos del Perù sono usciti a valanga dalla scuola li vicino. Non erano tanti…erano tantissimi, troppissimi, ed avevano una sola intenzione…attaccare lo straniero e depredarlo di tutte le caramelle, dolciumi, occhiali da sole e aggeggi vari…erano coordinati, decisi e motivati!!!…e si muovevamo come un corpo unico ….é stato un massacro!!! (ovviamente per noi). Siamo stati letteralmente invasi da una onda anomala di “ponchetti” rossi e neri sotto i quali c’erano, ben nascosti da una coriacea sporcizia, bambini dalle facce e dalle espressioni ancestrali ed indimenticabili. In 5 minuti io ero per terra completamente ricoperto da una ventina di loro intenzionati a sottrarmi, distruggere e vivisezionare, ridendo e gridicchiando, la mia telecamera per capire come fosse possibile che loro fossero “tutti li dentro”, dopo che, sciaguratamente, avevo fatto vedere loro un pezzettino di filmato girato durante il loro primo assalto. Gli altri compagni di viaggio erano letteralmente assediati da altre orde di piccoli barbari affamati che volevano caramelle a tutti i costi. Alcuni sono stati morsi…si narra! Mi ricordo che io, sopraffatto dalla tenerezza, ho dato una caramella ad una bambina multistrato (nel senso che quando poi, dopo, mi permise di prenderla in braccio mi resi conto che probabilmente aveva sedici o diciassette strati fra vesti di alpaca e ciccia autentica, praticamente era un lingotto di piombo) che probabilmente non ne aveva mai vista una. Appena gliela diedi, cominciò incredibilmente a succhiarla con tutto l’involucro! Gli usciva soltanto un pezzo di carta argentata dai denti stretti a protezione della dolce preda e ricordo ancora che la birbantella mi guardava fra il confuso ed il deluso come per dire “ma che m’hai dato?” Decisi di agire, e incurante del pericolo, rischiando il morso della mano destra, sono riuscito a togliergliela dalla bocca ed a scartarla…fra mugugni di chiaro disappunto… quando gliela ho ridata, però, la tizietta a cominciato a succhiare incredula e grata, illuminando gli occhi ed il viso con un sorriso che mi ha ripagato di tutte le fatiche ed i sacrifici ( anche economici, direi) affrontati per questo viaggio. In tutto, l’assalto e la pace susseguente è durata un paio d’ore e, alla fine, mentre riprendendo il nostro cammino, mentre ci dirigevamo ancora più in alto, siamo stati accompagnati per un tratto dai marmocchi più arditi e fieri, avvolti nella loro divisa - ponchetto rosso, che ci hanno poi abbandonato uno ad uno quando il nostro cammino giungeva nei pressi delle loro case. Al momento di salutarci ci mandavano un “Ciiiiaoooo” da crepare dal ridere e poi si catapultavano ruzzolando a velocità vertiginose per le discese d’erba umida, con i piedi scalzi, o con dei sandaletti di gomma scomparendo dentro qualche capanna o dietro qualche muretto a seccho in lezzo ad un gruppo di vacche pasciute. Io, comunque, non ho mai capito quale strano dono di equilibrio abbiano ricevuto questi peruviani, perché non né ho mai visto cadere uno!!! Io, dal canto mio, invece, sono riuscito a cadere un numero di volte imprecisato e tuttavia variabile dalle 20 alle “enne” volte, sia in discesa che in piano che in salita, da in piedi e da seduto. Evidentemente avrò altre doti, spero, rispetto a quelle dell’equilibrio! Dopo altre ore di supplizio, quando siamo arrivati in cima (io sono arrivato per primo!!!) mi sembrava di essere come Licia Colo, senza tette, passata attraverso un documentario. Anzi, secondo me neanche lei ha mai fatto tanto. La pendenza delle salite che avevamo sconfitto in alcuni tratti superava il 50% e i nostri eroi sono stati costretti a camminare a zig zag per fare poche centinaia di metri, in molto tempo. Anche i muli faticavano come muli e, spesso, sono caduti (non addosso a noi fortunatamente) scivolando sulla neve e sui muschi duri come la roccia e lisci come il vetro. Comunque, quando (se) si arriva sulla cima, si apre il paradiso. Dietro ci sono i 1.400 mt più faticosi e alti della vostra vita, costruiti su di una ripida parete colorata di verde e di fiori, acqua ed uccelli e, davanti, precipita una discesa che sembra un miracolo e che conduce ad un laghetto color blu felicità che, a tratti, riflette il colore bianco e verde delle montagne. Insomma, un posticino niente male. Tutta la vallata che si ha di fronte (quella nella quale ci si accampa per la notte) è piena di llamas che pascolano, di ibis che volano e di una sacco di altri uccelli che io non avevo mai visto. Purtroppo fa un freddo cane, e, vista la stanchezza, il freddo lo si sente ancora di più. Quella notte, forse anche per l’acqua e la neve presa a secchiate, ho avuto il febbro-coccolone (che é un incrocio fra il febbrone e un rincoccolonimento che rintontisce) e per riscaldarmi ho praticamente passato tutto il tempo nella tenda del “cocinero” dove c’era il fuoco e mi potevo riscaldare. Ad un ora imprecisata sono svenuto nel sacco a pelo e nessuno ha avuto più notizie di me sino alla mattina seguente. Però ero arrivato primo!!!

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